tradimenti
Amore senza limiti 5

02.07.2025 |
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"Lo capiva nei dettagli: nel modo in cui, con Luca, poteva ridere subito dopo, o abbandonarsi con la fronte sulla sua spalla..."
CAPITOLO 5Luca rimase immobile, come se ogni passo in più potesse compromettere un equilibrio.
Anna era lì, davanti a lui.
Non chiedeva.
Non implorava.
Stava solo aspettando di capire se lui era disposto a camminare davvero in quel patto che le sue parole avevano aperto.
Accettare voleva dire cambiare ma lasciarla andare voleva dire rinunciare ancora una volta in modo definitivo a ciò che aveva finalmente imparato a riconoscere.
Nel petto due forze: la voce razionale che urlava "proteggiti" e quella sentimentale, nuova, più incerta che sussurrava "fidati."
Come se rispondesse a entrambe, Luca si mosse.
Un solo passo: bastava per non restare fermo.
Anna lo scrutò.
— Non mi serve una promessa.
Disse piano.
— Solo sapere che non tenterai di bloccarmi per il solo timore di perdermi, dato che, adesso, non puoi più fingere di stare bene lontano da me.
Egli annuì.
Solo quello.
In quell’inchino lieve c’era la sua scelta: non il coraggio ma la fine della fuga.
Luca era con lei ma anche altrove.
Nella sua testa, i pensieri si moltiplicavano come tante stanze senza uscita.
Ogni possibilità aveva un volto, una voce, un richiamo.
Una diceva:
— Accetta quello che sei; certi pezzi non si rimettono insieme.
Un’altra sussurrava:
— Forse non si tratta di tornare, ma di procedere in un modo nuovo.
Rassegnazione o evoluzione?
Due parole, stesso silenzio.
Provava a immaginare la vita senza Anna, adesso.
Non faceva male: creava il vuoto.
Quello spazio che resta quando qualcuno è diventato troppo reale per sparire.
Neppure restare con lei era semplice.
Voleva dire riconoscersi fragile proprio dove una volta ci si era sentiti forti.
Voleva dire cambiare.
Non per lei.
Con lei.
Abbassò lo sguardo sulle loro mani: non si toccavano ma erano vicine abbastanza da far sembrare possibile la cosa.
Per la prima volta, pensò: “Forse non devo decidere tutto ora.
Forse già il restare mentre ancora tremo è evoluzione.
Questa è una verità contemporaneamente dolce e corrosiva.
Il silenzio tra loro non era vuoto.
Era un’attesa gravida di parole non dette, di respiri trattenuti, di significati compressi sotto la pelle.
Luca prese fiato.
Non per farsi coraggio ma per mostrarsi nudo, senza più difese..
— Non ho ancora tutte le risposte ma se aspetto di essere certo di tutto non ti raggiungerò mai.
Anna lo ascoltava senza interromperlo, lo sguardo quieto, fermo.
Luca abbassò lo sguardo:
— Ho sempre avuto paura di amare e l’ho fatto nel modo sbagliato.
— Ho temuto di ferire.: di ripetere gli stessi errori, solo con nomi nuovi.
Poi alzò di nuovo gli occhi verso la donna.
— Adesso sento che il rischio più grande … sia restare com’ero.
— Voglio provare a esserci: non perfetto ma presente.
Anna non rispose nulla ma nel suo viso non c’era più incertezza: c’era qualcosa che assomigliava a una tregua oppure ad una possibilità.
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Non c’erano più parole da cercare.
Solo una decisione.
Luca guardò Anna.
Non con urgenza, né con supplica.
Solo con quella calma che nasce quando la paura ha smesso di comandare.
Fece un passo.
Non simbolico: fisico vicino a lei.
Disse piano:
— Se vuoi, ci sono.
— Non perché ho capito tutto ma perché ho smesso di voler controllare tutto.
— Questo, per me, è già un patto.
Anna inspirò lentamente.
Non sorrise ma nei suoi occhi si aprì un sollievo che non chiedeva conferme.
Restarono lì.
Rimasero fermi senza gesti plateali.
Senza giuramenti.
Solo due persone che avevano smesso di difendersi dallo stare insieme.
Anna non disse nulla.
Lo guardò appena.
Sorrise.
Un sorriso lieve, privo di sorpresa, come se avesse sempre saputo che sarebbe arrivato quel sì.
Non perché ci contava ma perché aveva scelto di crederci.
Luca lo accolse senza parole: non servivano.
In quello scambio silenzioso c’era già l’inizio di una pace nuova.
Restarono ancora lì, vicini: senza attesa né fretta: solo il passo lento ma certo di chi ha appena smesso di rincorrere e ha cominciato a camminare accanto.
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Niente riso lanciato, né orchestre in piazza.
Il matrimonio si celebrò in una sala semplice, raccolta
Fiori bianchi ai lati.
Luce naturale che scendeva da un lucernario obliquo.
Poche parole ma dette bene: davvero.
Anna e Luca si guardarono a lungo, mentre l’ufficiale pronunciava la formula.
Non avevano bisogno di promesse solenni, solo di riconoscersi presenti, nello stesso istante, con lo stesso respiro.
Quando si scambiarono gli anelli, le mani non tremavano.
O forse sì ma insieme e per loro questo bastava.
Dopo l’applauso lieve degli amici stretti, Luca sussurrò ad Anna:
— Siamo qui non perché è tutto chiaro ma perché vogliamo provarci, ogni giorno, come fosse la prima volta che ci scegliamo.
Anna annuì.;
— Sarà anche l’ultima, ogni sera.
La mano di Luca cercò la sua.
Si strinsero. Fortemente senza teatralità.
Come chi ha attraversato la distanza e non vuole più tornare indietro.
Non c’erano bandiere, né colombe.
Nessun bouquet lanciato in aria a colpire future spose immaginarie.
Solamente loro.
Anna e Luca, due persone che avevano attraversato incomprensioni e fratture, che avevano conosciuto il silenzio quando il rumore sembrava più facile, che avevano scelto, alla fine, di restare uniti.
Non per stanchezza, non per comodità ma perché le fughe non funzionano mai per sempre e l’unico modo per non perdersi era rallentare, voltarsi, attendersi e riconoscersi ancora.
Quel giorno, nella sala raccolta, non fu una cerimonia: fu una presenza.
Nessuna promessa incisa su marmo eterno.
Solo uno sguardo lungo, tenace, che diceva "sono qui.
In quel gesto semplice, lo scambio degli anelli, le mani, forse tremanti forse no, si dischiuse qualcosa di più vasto di ogni formula liturgica: una disponibilità quotidiana, fragile e assoluta, a scegliersi di nuovo giorno per giorno.
Quando tutto fu detto, e anche il silenzio sembrava complice,
Luca non sapeva cosa sarebbe venuto in seguito.
Non aveva visioni nitide, né un copione da seguire ma ed era la prima volta dopo molto tempo che sentiva che sotto i piedi, finalmente, ci fosse una strada.
Non ancora tracciata, non facile, non garantita ma reale.
Sentiva che non avrebbe più dovuto costruirla ogni mattina, pietra su pietra, nella paura di vederla franare.
La sentiva viva: questo bastava.
Forse era proprio questo il segreto: quello che nessuno spiega nei romanzi d’amore.
Non la certezza, non l’incanto ma la disponibilità a restare anche quando il disegno non è chiaro.
Procedere non per fede cieca ma per quieta coerenza con ciò che si è scelto.
Luca si voltò appena verso Anna.
Non disse nulla ma dentro, in quel posto dove le parole non arrivano e le paure trovano pace si disse questo:
— Non so dove ci porterà tutto questo ma lo voglio vivere e finché cammineremo uno accanto all’altra sarà la mia casa.
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C’era un momento, sempre lo stesso, un istante prima che tutto si confondesse: pelle, respiro e volontà, in cui Anna sentiva un silenzio preciso dentro di sé.
Non vuoto: un varco.
In quel momento il suo corpo rispondeva allo specchio emotivo con cui da tempo condivideva il letto.
La sua relazione parallela la cercava con gesti ormai familiari ed Anna si analizzava.
Quella familiarità, così distante da qualsiasi radicamento, non la faceva sentire in colpa.
La faceva pensare come se ogni gesto, pur ripetuto, le offrisse l’occasione di tastare la propria superficie interna, capire se era cambiata, se quello spazio laterale aveva ancora un significato o se era diventato solo una replica.
Il corpo seguiva, certo.
Non con lo stesso abbandono che provava con Luca, ma con una sorta di obbedienza quieta, istintiva, a ciò che già conosceva.
Non c’era sorpresa, non più
Eppure, in mezzo a quella ritualità, Anna tornava ogni volta a interrogarsi.
Che cos’è che cerco davvero qui?
Non bisogno d’amore.
Nemmeno semplice desiderio.
Forse era la voglia di un’assenza di responsabilità, un luogo fuori campo dove poter essere senza dover sempre valere qualcosa per qualcuno.
Era uno spazio fisico, sì ma soprattutto psicologico.
Uno specchio emotivo dove l’immagine riflessa non veniva mai confermata, solo testata.
Con Luca, ogni gesto era circolare: aveva un prima, un dopo, una conseguenza.
Qui, invece, ogni gesto finiva dove cominciava una semplice soddisfazione fisica ed in quella clausura emotiva, Anna trovava paradossalmente un’eco diversa di sé stessa.
Non necessariamente più vera ma forse iIn quel momento necessaria.
Si analizzava.
.Ascoltava il battito del cuore, il piacere delle viscere, il respiro ma soprattutto i pensieri che galleggiavano sotto pelle.
A volte erano nitidi, altre confusi ma mai muti.
Proprio lì, in quella soglia sottile tra partecipazione e riflessione, Anna continuava a costruirsi: non perché cercasse una risposta ma perché finalmente aveva imparato a non censurare le domande.
Sorprendentemente non si sentiva in colpa: né vergogna né euforia.
Si sentiva libera.
Un tipo strano di libertà: non quella del possesso ma dell’assenza di domanda.
L’altro non le chiedeva nulla e questo le lasciava campo aperto anche per pensare a Luca.
Non lo faceva sempre ma a volte, sì.
Spesso nel mezzo dell’amplesso le sfuggiva il suo nome ed il suo amante, paziente, non glielo rinfacciava.
Luca entrava nella mente in modo diverso: non come paragone ma come contenitore di senso.
Col suo amante, ogni gesto aveva un’intensità pura, istintiva, animalesca, talvolta perfino più acuta di ogni altra ma restava “isolato”, chiuso nel perimetro del corpo..
Con Luca, invece, lo stesso gesto apriva.
Aveva un dopo, un prima, un “noi” che lo accompagnava anche nel silenzio.
In quel momento, mentre la pelle arrossiva, mentre il fiato diventava più corto tutto diventava chiaro.
L’atto era lo stesso, identico ma non l’effetto.
Uno era fuoco da campo, l’altro una luce accesa nella notte.
Anna si lasciava toccare.
Si lasciava raggiungere non con passività ma con piena consapevolezza..
Una parte di lei diceva:
— Anche questa sono io e non ho più paura di conoscermi tutta.
Altre volte si presentava dall’uomo: non lo guardava, non sempre.
A volte teneva gli occhi chiusi, non per illudersi, ma per non disperdersi.
Il corpo rispondeva, certo che lo faceva, e c’erano attimi, come flash isolati, in cui una parte di lei si lasciava andare con sincerità: il respiro che accelerava, il bacino che cercava, la pelle che si tendeva.
Ma anche in questo caso soprattutto Anna pensava.
Non erano pensieri ordinati, né freddi.: erano lampi a volte dolci, a volte taglienti.
“Con Luca non ho bisogno di cercarmi, eppure qui mi sento libera.”
Era una contraddizione, lo sapeva.
Luca era continuità, abbraccio, radice.
Il suo amante erra margine, assenza di domande, una parentesi che non chiedeva futuro.
Eppure … nel vuoto lasciato da quella mancanza, Anna trovava uno spazio per esplorarsi.
Come se Luca fosse con loro e qui fosse sua.
Non era migliore, né peggiore.
Era diverso
Più diretto.
Più ruvido, talvolta
Con Luca l’amore si avvolgeva come una coperta stesa sulle intemperie.
Qui era un colpo d’aria aperta talvolta necessario, talvolta solo impulso.
Nel mentre, il piacere quando arrivava non era meno intenso ma aveva un colore diverso.
Un lampo, non una sorgente.
Un senso di sollievo, forse.
Un’esplosione privata che non cercava testimoni.
Con Luca, invece, il piacere aveva eco.
Non finiva nel corpo: si allargava nella stanza, restava attaccato alle cose.
Era memoria condivisa, non solo scarica.
Eppure non avrebbe voluto cancellare nulla.
Quello che viveva ora tra carezze stanche, colpetti irregolari, respiri che si cercavano senza romanticismo era suo e saperlo, poterlo scegliere, era già un modo di affermarsi.
Quando si lasciò andare, lo fece in silenzio.
Non per pudore, ma perché le parole non sarebbero bastate ma dentro, qualcosa mormorava:
“Io non sono questa. Ma neppure lo nego.”
Col suo amante era sempre tranquilla con lui c’erano un prima ed un dopo.
Un prima violento, bestiale in cui i sensi prevalevano obnubilando la ragione ed un dopo: c’era sempre quel momento.
Il corpo ancora caldo, il respiro che lentamente si rimetteva in ordine, i rumori del mondo che tornavano a farsi sentire deboli, periferici.
Anna restava ferma, spesso con gli occhi aperti verso il soffitto.
Non perché cercasse risposte, ma perché quello era il tempo in cui le cose risalivano.
Non i giudizi quelli li aveva smessi da tempo ma le domande essenziali come un organismo che assaggia il silenzio per capirne l’effetto.
Non si sentiva colpevole e nemmeno libera, in senso retorico ma intera, sì.
Come se ogni parte di lei avesse avuto modo di parlare, finalmente, anche quelle che Luca pur amandola a fondo non aveva mai toccato davvero.
Con Luca c’era una tenerezza costante, che spesso diventava contenitore prima ancora che desiderio.
Una prossimità che le dava pace ma a volte, anche un’ombra sottile di confine: come se certe parti del suo sentire restassero nell’ombra per non disturbare l’equilibrio.
Con l’amante, invece, non c’erano promesse, né attese: solo uno spazio nudo ma in quell’assenza, Anna trovava il modo di esplorarsi, di testare chi era diventata.
Non tanto perché era lì ma mentre era lì.
A volte si domandava:
“Se Luca mi vedesse ora, cosa capirebbe?”
Si rispondeva subito: “Forse niente o forse tutto.
L’amore che provava per lui non si opponeva a ciò che faceva adesso.
Non era un tradimento.
Era una voce parallela.
Una necessità di ritrovarsi, nel corpo, la parte che amava anche nel silenzio.
Anna non aveva bisogno di scegliere tra uno e l’altro.
Aveva scelto sé stessa e proprio per questo sapeva distinguere.
Lo capiva nei dettagli: nel modo in cui, con Luca, poteva ridere subito dopo, o abbandonarsi con la fronte sulla sua spalla.
Qui no: qui imperava il silenzio con lo sguardo altrove.
Questo silenzio era suo.
Suo, da abitare, da non spiegare e in quel silenzio, mentre sentiva la pelle ancora vibrante e il cuore ricomporsi lentamente, pensava solo::“Ora so chi sono. Anche qui. Anche così.”
Anna non aveva mai cercato l’amore che stordisce.
Non l’aveva trovato nemmeno quando, anni prima, si era persa in un altro corpo.
Aveva pensato fosse coraggio.
Aveva pensato fosse scelta
In realtà era fame di ascolto, di sguardi che la chiamassero per nome, di una pelle che non fosse solo abitudine.
Con l’altro l’uomo che per un tempo imprecisato fu amante c’era stata voglia.
Ma non condivisione.
Un altrove che non diventava casa, solo intermittenza: carezze come promesse senza radici.
In certi momenti si era detta: “Anche questo è amore. Una sua forma.” ma finiva in una delusione.
Sempre!
Un gesto compiuto e subito sgonfiato, come se il corpo non riuscisse a trattenere la memoria del senso.
Con Luca era differente.
Non che l’atto fosse diverso il corpo era il medesimo, la pelle reagiva agli stessi impulsi ma dentro cambiava tutto: l’origine, l’intenzione, l’integrazione.
Con Luca, l’amore aveva sua una continuità, non era un picco.
Non c’era bisogno di desiderare per sentirsi viva:
Bastava svegliarsi e sapere che si sarebbe potuta desiderare, se lo si fosse voluto e questa libertà, quella che non chiede giustificazioni era nuova.
Era dolcezza senza debolezza.
Intimità che non chiedeva prove.
L’aveva cercato per anni, un amore così.
Non perfetto ma abitabile che potesse contenere anche le stanchezze, i dubbi, i giorni in cui ci si chiude a riccio ed ora che c’era, Anna lo viveva nel modo che aveva sempre desiderato: come qualcosa che non le chiedesse di cambiare ma che la riconoscesse mentre si trasformava.
Il pensiero dell’altro uomo non era scomparso.
Tornava a volte come si ripensa a una stagione di pioggia violenta.
Non con nostalgia ma con un senso di distanza finalmente nitido.
Non c’era più traccia di colpa: solo la comprensione che anche quello era stato un passaggio non inutile ma incompleto.
Con Luca, invece, l’amore era un corpo che non aveva più bisogno di mascherarsi da null’altro.
Poteva ridere, toccare, chiudersi, riaprirsi.
Poteva avere caldo e freddo, contemporaneamente ma soprattutto: poteva restare.
Luca e Anna non si lasciarono.
Non del tutto, non come ci si aspetta.
Dopo il patto, dopo le crepe, dopo quella verità difficile da dire e da accettare, trovarono un modo che non assomigliava a nessun altro: un equilibrio imperfetto ma vero.
Luca imparò a restare anche quando non capiva.
Anna smise di scusarsi per ciò che era.
Non si promisero l’esclusività.
Si garantirono presenza autentica anche quando la presenza era fatta di spazi non condivisi.
Certe notti si amarono come agli inizi
Certe altre si limitano a dividersi il silenzio.
Nessuno dei due fuggì.
Silenzio.
Nessuna lite, nessun gesto eroico.
Erano due persone sedute davanti ad una giornata qualunque.
Il tavolo con le briciole.
Le tazze già svuotate.
Nessun bisogno di parole.
— È questo?
Domandò Luca:
— Il punto cui siamo arrivati?
Anna alzò lo sguardo, ma non rispose subito.
Egli continuò:
— Il punto in cui non ci chiediamo più se è abbastanza.
— Solo se è vero.
Ella annuì piano.
— Vero … e fragile ma nostro
— È amore?
— Oppure è solo l’unico modo che abbiamo trovato per non farci del male?
La domanda rimase sospesa tra i respiri, tra le mani posate e quelle che non cercavano più.
— Ti sto solo chiedendo
Sussurrò lui
— Se siamo ancora dentro la stessa scelta … o se stiamo solo evitando di farne una nuova.
Anna sorrise: non per leggerezza ma per stanchezza delicata.
— Io sono qui.
— Non per abitudine ma se è amore … allora non deve domandarlo.
Si alzò.
Passò alle sue spalle.
Appoggiò una mano sulla spalla niente di più.
Luca non si voltò ma chiuse gli occhi.
Era questo, allora:: non rassegnazione.
Solo la lucidità di restare senza garanzie.
FINE 👍
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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